Dopo anni di miserevoli tentativi, quest'anno finalmente ho vissuto la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia in prima persona e non sul divano di casa mia all'una di notte con Gigi Marzullo. Così sabato 6 settembre 2014, giorno della chiusura della mostra (che gentaglia si ostina ancora a chiamare film festival) mi sono svegliato di buon mattino e sono partito con la mia troupe alla volta della città bagnata.
Ero stato molte altre volte a Venezia ma non mi ero mai spinto fino al lido, dove si svolge la kermesse. L'esperienza del vaporetto non è certo la più edificante: gente stipata, battellieri che gridano come ossessi, prezzi spropositati (abbonamento giornaliero = 20 euro). Ma io e la mia troupe abbiamo approfittato dei potenti mezzi veneziani per fare un salto in piazza San Marco e fra le calle per poi dirigerci al tanto sognato lido.
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Sbarcati a #Venezia71 facciamo man bassa di brochure e programmi e ci dirigiamo verso il Palabiennale per vedere il film che io e la mia troupe avevamo diligentemente selezionato. Diciamo che con i nostri orari e il budget datoci dall'editore abbiamo avuto molto poco margine di scelta. Per cui abbiamo optato per un film azero, NABAT, del regista azero Elchin Musaoglu, tutto rigorosamente in azero (sezione Orizzonti). Mi sembrava la soluzione più ovvia. Coerentemente il pubblico nella sala si era azzerato: eravamo all'incirca un centinaio di persone che, in una sala che può contenerne 1700, fa un po' d'effetto. Però ci siamo detti "Che diamine, siamo a Venezia!". Ma grande tristezza abbiamo provato nel momento in cui sono apparsi i sottotitoli in italiano che sembravano essere scritti dal figlio di Flavia Vento e Luca Giurato (ft. Antonio Razzi). Traduzioni come "il mio padre" o "cela fai" ci hanno fatto un po' rabbrividire ed esclamare nuovamente "Che diamine, siamo a Venezia!", ma con un altro tono. Il film, seppur lento, mi ha catturato per la vividezza della fotografia e l'originalità delle inquadrature. Se avete voglia, potete leggere la mia recensione seria pubblicata su ArtsLife Nabat: una donna sola contro la guerra.