Con tutta la tecnologia che abbiamo a disposizione oggi, fare troppi straordinari al lavoro è insensato. E vantarsi di lavorare troppo sciocco e dannoso. Riappropriamoci piuttosto dell’otium dei nostri avi e impariamo a sfruttarlo per mettere a frutto la creatività
Adam Driver in Paterson (2016) di Jim Jarmush fa l'autista di autobus e scrive poesie nel tempo libero |
Capita spesso di scorgere su Instagram le storie di alcuni contatti che si riprendono alle 7 e mezza di sera in uffici deserti, o leggere status su Facebook di gente che si vanta di aver lavorato per dodici ore di fila. Lamentarsi del lavoro sembra essere diventato una medaglia da esibire con malcelato orgoglio, rispondere alle mail in metro al mattino o continuare riunioni interrotte al telefono in treno una prerogativa.
In Germania, qualche mese fa, cinque consiglieri economici del governo hanno proposto l’abolizione della giornata lavorativa di otto ore. Che detta così sembra una cosa buona, visto che viene da pensare all’esperimento di alcune aziende svedesi passate da otto a sei ore lavorative. Qui invece il limite delle otto ore di lavoro giornaliere, stabilito per legge, viene definito “obsoleto” perché nell’era digitale “le aziende hanno bisogno della certezza che non infrangono la legge se un impiegato partecipa di sera a una conferenza telefonica e se a colazione legge le mail”. Ecco detta così la proposta tedesca risulta molto meno romantica e porta con sé due mostruose conseguenze: in primis va ad abolire il concetto stesso di orario lavorativo, scardinando un fondamento intorno a cui le società moderne da più di un secolo si sono organizzate, e ancora più grave, suggerisce l’idea che il dipendente baratti col proprio datore di lavoro non più (o non solo) le sue competenze quanto il suo tempo.
La rivoluzione digitale sta spingendo verso una sempre più frequente sovrapposizione tra vita privata e lavoro, condizione che spiana la strada a quel disturbo ossessivo-compulsivo che prende il nome di workaholism (codificato già nel 1971 dallo psicologo statunitense Wayne Edward Oates come patologia). Dare tutta la colpa al digitale non sarebbe giusto, seppur attualmente è il settore che più si presta a questa degenerazione. Ma il punto della faccenda sta nel tipo di valenza che viene dato al lavoro e di conseguenza a ciò che lavoro non è, il tempo libero.